Assemblaggi Visuali di Marco Vincenzi
La Stazione degli Artisti
Piazza Martiri d’Ungheria, 2 – Gambettola FC, Italia
Dal 14 giugno al 6 luglio 2025 (orario d’apertura: sabato e domenica, dalle 16 alle 19)
Inaugurazione: sabato 14 giugno, ore 17
Generalmente si pensa che la fotografia sia un linguaggio visuale; un prodotto (o un costrutto), che si ottiene attraverso strumenti tecnologici, che permettono di registrare immagini più o meno fedeli della realtà, oppure, in ambito artistico, meglio se costruzioni e artefatti visuali che la emulano o ne trascendono i confini. Al tempo stesso, distinguendola dall’immagine, si può anche dire che la fotografia sia un oggetto, che ha in sé un’immagine e che può assumere forme differenti per dimensioni e materiali; un supporto dove possono accadere delle cose, in particolare se come oggetto subisce accadimenti o entra in assemblaggi.
La storia della fotografia, e più in generale dell’arte, ha visto tanti autori produrre collage o assemblaggi di immagini su diversi supporti, comprese le fotografie, con diversi oggetti polimaterici. Questi autori hanno assunto approcci differenti fra loro: accademici, concettuali, simbolici, ma anche astratti o addirittura casuali. Hanno soddisfatto abilità nel mettere assieme differenti materiali: illustrazioni, immagini, fotografie e oggetti diversi, che sono entrati in relazione fra loro per diventare visioni complesse, delle strutture visuali polimateriche.
Le opere di Marco Vincenzi esposte in mostra sono delle comunicazioni artistiche, che a modo loro hanno a che fare con questo genere di approcci. Rispondono a quel genere di esigenza visiva, che non si limita all’utilizzo del medium fotografico, ma ad un uso più articolato della stessa, a partire dall’idea che la fotografia sia anche un oggetto. La fase in cui il medium fotografico conduce lo sguardo del fotografo verso una qualche realtà è una fase precedente e il più delle volte dimenticata o non conosciuta dall’autore di queste opere. Se si tratta di fotografie prodotte dall’autore, queste non fanno parte di serie progettate e prodotte con una finalità ben precisa, che si esaurisce nell’immagine fotografica o in una sua serie. Sono fotografie che Vincenzi riscopre nel/dal suo archivio e che, per una qualche ragione, colpiscono il suo immaginario. Altre sono fotografie prelevate dai social o da vecchi archivi di altri fotografi, oppure da collezioni o album di famiglie a lui sconosciute.
In ultimo sono accadimenti che si producono sulle fotografie intese come oggetto, il più delle volte all’interno del suo ambiente più intimo, la casa, oppure degli assemblaggi estemporanei di vari elementi (carta, cartone, nastro isolante, ecc.) di scarto o comunque presenti nella sua casa, con cui ha a che fare quotidianamente (caffè, tè, sughi oleosi, ma anche colori ad olio o acrilici). L’azione di Marco Vincenzi facilita un dialogo fra tutti questi elementi, un dialogo estemporaneo e non ragionato, che porta con sé la memoria lontana di quelle tante immagini, ma anche no. Che cosa guida queste sue costruzioni visive? Beh, per rispondere a questa domanda è bene fare chiarezza sul fatto che una comunicazione, e come tale anche quella artistica, ha in sé auto ed etero-referenza; un riferimento al sistema (nello specifico) dell’arte, quindi che rimanda all’interno di se stesso (autoreferenza), e un riferimento al Mondo esterno (etero-referenza). Entrambi questi elementi devono esserci necessariamente, anche se non devono necessariamente essere scanditi fra loro, tra forma e contenuto, che nei migliori risultati si sovrappongono. Forme molto libere, rigorosamente creative, attraverso cui passa la possibile innovazione richiesta da una comunicazione artistica e contenuti non didascalici e anche non troppo espliciti, che ogni fruitore ha la possibilità di costruire autonomamente a partire da sé, dalla propria conoscenza e sensibilità percettiva.
Le diverse serie esposte in mostra, che Vincenzi ha costruito creativamente nel tempo, sono tipologie differenti di assemblaggi e accadimenti. Una prima serie di fotografie rileva scorci del giardino della casa dove l’autore vive, che fanno da sfondo ed entrano in dialogo con degli artefatti prodotti all’interno della casa dall’autore, quasi a voler indicare un aspetto del personale “abitare” un luogo molto personale ed intimo. Una seconda serie sono fotografie prelevate dal web di “amiche FB” che l’autore non conosce personalmente e che vanno assumendo nuove identità attraverso frammenti di volti tratti da vecchie fotografie realizzate in bianco e nero realizzate da una sua cara amica fotografa. Oppure, fotografie d’epoca acquistate nei mercatini in cui il volto dei soggetti ritratti assume identità altre e più contemporanee attraverso le foto identitarie di fototessere appartenute a carte d’identità scadute e buttate, che l’autore ha recuperato. Come anche quelle che riguardano l’immagine dell’autore stesso, che permettono a corpi di chissà chi di assumere la sua identità. Altra serie sono delle fotografie bianco e nero stampate ai sali d’argento, con meticolosità e cura, poi imbrattate di caffè, in modo casuale tanto da far assumere loro forme e significati altri, rispetto agli scatti originari. Sono diverse piccole serie di immagini, delle opere visive, che cercano di comunicare la complessità che sta dietro ad ogni visione delle cose, senza ricercare l’oggettività, in modo da porre domande piuttosto che fornire delle risposte.
Il lavoro di Vincenzi entra quindi in relazione con la fotografia considerata in modo materico: guardando le sue opere ci rendiamo conto che le fotografie sono l’indicatore di un momento reale ma allo stesso tempo diventano oggetti che l’autore tocca, manipola, sporca, lasciandoci una sensazione che può definirsi tattile. Allo stesso tempo attraverso la sovrapposizione di fotografie con vita e natura diverse possiamo esperire un allargamento dei significati proposti dalle immagini lasciando spazio molto spesso alla nostra immaginazione di agire e costruire relazioni e nuove interpretazioni. Rispetto ad altri lavori di Vincenzi, in cui il medium fotografico viene utilizzato come lettura del reale, qui possiamo notare un desiderio dell’autore di entrare nella materia fotografica come fosse viva e concreta, il desiderio di agire manualmente come per farci allontanare per un attimo dalla auto-referenzialità dello sguardo dell’autore e farci vivere l’esperienza del gioco della casualità che forse non è altro che un lato molto importante del nostro quotidiano, a volte sottovalutato.